Un mare di nebbia

Ore 11, finalmente sale un refolo di vento. 10 nodi. Giusto per tirare su randa e Genoa. Un momento perfetto per incrociare Patrick che sta portando un catamarano da malaga a Lagos. Grazie a lui, ecco le prime foto di Metis in navigazione.

È stato un attimo. Mentre mi sbracciavo per salutare Patrick ho visto il catamarano scomparire in una nebbia fittissima. Tutto attorno nebbia. Costa sparita. Navigazione con radar.

Poteva venirmi il sospetto che Alboran è anche questo. L’isoletta da cui prende il nome è chiamata dagli spagnoli Isla de la nube.

L’ultima volta che mi sono trovata in barca con una nebbia simile, ma senza radar, sarà stato vent’anni fa, in laguna. Con la barca di Luigi di Prinzio, una bella copia del Joshua di Moitessier, da BurAno a Venezia. E con il buio che scendeva. Brividi.

Alboran

Per vent’anni mi ha angosciato. Per vent’anni, ogni giorno, lo sentivo raccontare con timore. Per vent’anni a ogni bollettino del meteo croato mi attirava di più quel che succedeva nel mare di Alboran che alle Incoronate. E mi chiedevo dove fosse senza riuscire a immaginarmelo.

Ha un nome che evoca suggestioni antiche e cavalcate al di fuori del tempo e dello spazio questo mare.

Alboran, mentre navigavamo la Dalmazia, era sempre agitato, annunciava tempesta, rincorreva venti e fortunali. Mi faceva bene sentirmi lontana centinaia e centinaia di miglia da quel mare. E mai avrei pensato di solcarlo.
E invece eccomi qui. Stiamo navigNdo Alboran. Nella bonaccia più totale.

Meno male! Davanti a noi alle 8 della mattina, circa 10 ore di navigazione e ancora 53 miglia. Vorremmo arrivare dopo Malaga.

Attorno a noi delfini che saltano.
Non le vediamo, ma ci sono anche tante tartarughe Caretta Caretta che vengono a nutrirsi in questo mare ricchissimo di pesce, che fa da cerniera fra l’Atlantico e il Mediterraneo e che sembra non aver subito molto gli effetti negativi dei cambiamenti climatici.

Alboran prende il nome da un’isoletta Conquistata nel ‘500 dal pirata tunisino Al Boran. A vederla in foto sembra poco più di uno scoglio a 20 miglia dalla costa marocchina ma è saldamente in mano spagnola. Ospita una guarnigione stabile di militare e un cimitero con tre tombe.

Massimo ha levato l’ancora alle 4.30 del mattino. Io me ne sono rimasta in cuccetta a dormire. Non è stato facile uscire dalla baia di Gibilterra al buio. Tante navi alla fonda. Luci delle strade e delle case. Gabbiani bianchissimi in acqua. Tutto confondeva la visione. E quando siamo stati proprio alla punta della Rocca un puzzo di fogna che mi ha svegliato!
Alla fine, schivando le navi e chiudendoci il naso, abbiamo messo la prua verso nord. E ci siamo goduti la visione della Rocca dal lato mediterraneo. Bianca e inquieta. Eccola la colonna d’Ercole!

Calpe, monte di Tariq…Gibilterra!

Poco vento, corrente a favore che ci spinge quasi a 8 nodi, mare calmo. Sulla costa marocchina, il Rif si fa ammirare in tutta la sua maestà. I suoi monti naviganti, nella nebbiolina del sole che scende, si rincorrono verso ovest. Verso est scendono velocemente fino a incontrare la piana di Tangeri.

Sono nel mezzo. Fra due mondi. Il mio a nord, l’Europa. Un altro, a sud, il continente africano. Oltre questo braccio di mare che al suo punto più stretto sarà 14 chilometri, c’è un altro pianeta. Purtroppo a me sconosciuto.

Marocco

Chiamo Kamal. Chissà dove lo troverò e se mi risponderà. Vedo il tuo Marocco Kamal. Mi sembra di toccarlo. Mi ispira suggestioni berbere, ceramiche colorate, deserti, mari e montagne. Penso a tua mamma Jamila. Penso che avremmo dovuto andare insieme a trovarla. Avrei voluto riportarti io da lei. Dopo tanti anni.

E invece davanti al Marocco ci passiamo da soli. Tu sei in Abruzzo a fare la stagione. E meno male che almeno lavori.

Ripenso a quando hai voluto lasciare Casablanca. Sei volato fino in Egitto. Poi hai preso un bus per Tunisi. E da lì hai pagato e preso quella maledetta nave. Volevi vedere il mondo, volevi vivere in Europa. Non mi hai mai spiegato il perché. Hai pianto su quella barca alla deriva. Hai invocato tua mamma, ignara di quanto ti stava succedendo. Ti sei pentito. Ma non potevi più tornare indietro.

Il faro dello stretto di Gibilterra

Quel giorno d’autunno ti sei buttato in acqua davanti alla Sicilia, e hai nuotato nuotato fino a riva. Quanta paura avevi Kamal, te lo ricordi? Me lo hai raccontato un sacco di volte. Poi il centro per i migranti. La fuga. Il traghetto per Catanzaro. Lungo il fiume prigioniero dell’Ndrangheta. Le minacce. I fucili. Ancora la paura. E di nuovo la fuga. Il treno e la lunga risalita fino alla campagna trevigiana. Con quel tuo amico che per la paura aveva perso la parola.

QUanti anni sono passati da quei giorni? Non ricordo più. Forse 10. O anche 12. Ti ho perso di vista da così tanto tempo che non so neppure se il visto definitivo lo hai poi ottenuto oppure no.

Gibilterra

Mentre il tuo paese mi scivolava vicino, ti ho scritto un messaggio. Mi hai risposto. Mi hai detto che tuo fratello conosce tante persone a Tangeri perché è lì che ha fatto l0università. Che potrebbe ospitarci. Che tua mamma mi vorrà sicuramente mandare un regalo, come quel vestito berbero, color del glicine, che mi inviò per posta mille anni fa. Mi considerava un po’ come una tua vicemadre. E forse anch’io mi sentivo tale.

Oggi qui davanti alle tue montagne, ti penso. Bello come un principe e testardo come un mulo. Povera Jamila che vorrebbe tanto riabbracciarti. Ci andrò in Marocco prima o poi. Ma con te al fianco.

Lasciamo il Rif a sud ed entriamo nella baia di Gibilterra. Davanti alla marina c’è una bel pezzo di mare dove si può stare all’ancora. Meglio. Guardiamo la rocca dal basso. I brutti edifici de La Linea de la Conception, il paese andaluso che sta al confine.

Macaco a Gibilterra (foto Wikipedia)

Penso ai suoi Macachi, su in cima. Al confine per arrivarci. Alla soglia sottomarina alta più di 300 metri che impedisce alle correnti fredde dell’Atlantico di raffreddare il nostro Mediterraneo. Non andremo a visitarla Gibilterra. Non scenderemo. Si sta bene in barca e in un viaggio come questo più delle cose viste valgono le suggestioni.

E sarà una suggestione, ma l’acqua del mare mi è sembrata già più calda.

La scoperta: Baelo Claudia

E’ stata una fortuna che avessimo lasciato la simpatica Barbate troppo presto sulla tabella di marcia. Dopo poche miglia, al Cabo de Gracia verso Gibilterra, la marea era ancora entrante e la corrente contraria fortissima. Metis non riusciva a fare più di tre nodi con un refolo di vento a 5 nodi proprio sul naso. E un mare che incrociava da tutte le parti spingendo in alto le onde.
Non aveva senso continuare in quel modo. Bisognava aspettare. Almeno il morto di corrente. È stato un regalo che Subito dopo il capo ci Sia apparsa come un paradiso la baia di Bolonia.

Sabbia bianchissima, mare verde chiaro, dune altissime che probabilmente cambiano forma con il vento. Una pineta estesa e fitta, immune sembra agli incendi. Un richiamo mediterraneo irresistibile. Ci siamo messi all’ancora a ovest della grande baia, vicino alla spiaggia. Bagno in acqua gelata. Meno fredda del Portogallo, più fredda della Croazia. Prima risalita dalla scaletta (non comodissima, ma ancora per qualche anno dovrei riuscirci). Prima doccia post bagno…ma dentro: Metis ha sempre vissuto al nord, dove bagno in mare nessuno li faceva. Quindi non abbiamo ancora un’uscita esterna dell’acqua dolce. Si farà.
Poi, pranzando con un gazpacho preso ieri e i resti di feta greca, mi sono accorta di rovine che scendevano quasi fino al mare. Una veloce ricerca e abbiamo scoperto Baelo Claudia la più grande e meglio conservata Citta romana della Spagna. Con un teatro che stupisce per la grandezza.

Purtroppo non siamo potuti scendere dalla barca per visitare il sito archeologico che, a quanto ho letto è ben presidiato e molto poco visitato. Entro le 16 dobbiamo essere dopo lo stretto per non ritrovare corrente contraria. A malincuore partiamo. Prua di nuovo a Levante.

I tonni di Barbate

Ok. Mai dare giudizi avventati. Se Chipiona è da dimenticare, l’area di Barbate è Interessante. Grandi falesie vicino al Cabo Trafalgar, immense distese di sabbia e dune e Verdi pinete che arrivano fino al mare. Il paese non sembra granché, il Marina, pubblico, è deserto. Barche stanziali una decina, quelle di passo come noi, due o tre. C’è un grande silenzio e fa caldissimo. L’estate è tornata. Il freddo del Portogallo è alle spalle.

Cabo Trafalgar

Barbate è un paese di pescatori. I pescherecci sono bellissimi. Noi entravamo e loro uscivano per fare un carico di sardine magari sconfinando nelle acque del vicino Marocco.

Ma da aprile a giugno ancora in molti si dedicano alla pesca del tonno con il tradizionale sistema dell ‘almadraba. Il tonno rosso viene pescato durante il suo passaggio attraverso lo Stretto di Gibilterra o lungo la sua rotta migratoria dall’Atlantico al Mediterraneo, dove depone le uova nell’acqua tiepida. Nella Pesca Almadraba la rete di terra dirige il tonno all’interno del telaio centrale. I tonni entrano attraverso l’apertura e non riescono più a uscire, perché un labirinto di reti impedisce loro di avvicinarsi all’apertura. Se riescono ad evitarlo, risalgono contro la rete esterna, che li obbliga a nuotare in direzione opposta a quella di migrazione, e a ritornare poi al punto di partenza. In questa prigione si consuma l’orribile mattanza.

17 agosto, Trafalgar ci aspetta

Scrivo mentre navighiamo. Lo faccio con il cellulare, per questo sono di poche parole! Me ne sto seduta vicino alla ruota. Dentro non mi piace stare quando si naviga, a meno che non mi distenda a dormire. Siamo Quasi di poppa, con poco vento, randa e motore. La meta è Barbate, a sud di Cadice.
Abbiamo lasciato Chipiona verso le 9, senza alcun rimpianto. Oggi abbiamo 40 miglia di nuovo. Dovremmo arrivare in porto verso le 18. Forse prima se il vento aumenta come ha fatto ieri pomeriggio.
In lontananza intravedo capo Trafalgar dove è morto in battaglia Orazio Nelson. Il primo way point del GPS è lì. Poi correggeremo e andremo verso Barbate. Temo che anche questo posto sarà una delusione. Spero solo sia più facile da entrare.
Barche a vela in giro ce ne sono poche. Non mancano invece I cargo. Ci aggiorniamo più tardi.

Cadice




16 agosto, Spagna!

Sono le 8. Guido è appena partito: un taxi acqueo lo sta portando a Faro. Anche noi siamo pronti. Ci aspettano 80 miglia. Lasceremo il Portogallo ed entreremo in Spagna a Chipiona, piccola località balneare dell’Andalusia.

bye bye Guido, grazie della visita!

L’uscita dalla laguna è molto più semplice dell’entrata. Non c’è vento e il mare dormicchia ancora. Il vento si alza verso le 13. Non è da nord come ci saremmo aspettati, ma da sud ovest. Va bene lo stesso.
Procediamo alla grande di gran lasco con punte di 9 nodi e 25 nodi di vento. Alle 7 della sera, dopo 11 ore, siamo davanti a Chipiona. Lunghe distese di sabbia e dune annunciano la foce del Guadalquivir. A 10 miglia dalla costa, siamo già a soli 10 metri dal fondo del mare. Più avanziamo verso la Marina, più la profondità si riduce e le onde si rincorrono veloci e fastidiose.
Qualche difficoltà a far rientrare la randa: massimo la detesta. Qualche timore perché l’entrata è stretta, siamo già a soli 4 metri di fondale, il vento soffia forte e le onde ci sbatacchiano come in una lavatrice. Finalmente dentro. Cambio bandiera: giù quella della repubblica portoghese, su la corona spagnola. E il gonfalone di San Marco.

Siamo un po’ stanchi, anche per la tensione. Io sono andata in palla con la ruota e la muovevo come fosse la barra del timone di Zara: in senso opposto quindi! Nessun automatismo su Metis.
Comunque, indossata la mascherina(obbligo in Andalusia anche all’esterno), decidiamo di cenare fuori, in uno dei due ristoranti della Marina. Gran fregatura. Mazzancolle a 120 euro al chilo! Nessun menu causa Covid. Conto salatissimo. Aveva ragione Guido: la Spagna non è il Portogallo! Con le pive nel sacco, ce ne torniamo in barca e crolliamo nel sonno. A bocce ferme posso dire che ci sono posti da vedere dall’acqua, che so come Venezia, Istanbul e il corno d’oro, le mura di Korcula e il minareto di Kastellorizo. L’Andalusia meglio scoprirla via terra. Dal mare non ispira, né è facile.

15 agosto, Faro

Non è un viaggio di piacere. Non è una crociera. E non è una passeggiata. L’Algarve d’agosto è fresco. L’acqua dell’oceano gelida. Le distanze fra un porto e l’altro impegnative.
Fra Lagos e Faro ci sono 40 miglia. Navigazione comunque piacevole rovinata da un’entrata un po’ perigliosa nella grande laguna. Con marea bassa, onde che si frangono, correnti che si scontrano.

Siamo qui perché domani Guido sbarca. E da qui è facile raggiungere l’aeroporto di Faro da dove Guido volerà a Lisbona e poi a Milano.

Attorno sembra di vedere punta sabbioni o gli Alberoni. Barene e piccole secche. E una miriade di barchini in movimento fra la terraferma e l’isla de Culatra.
Cena meravigliosa con gli acquisti di Lagos: spaghetti e telline, mazzancolle bollite, cappe lunghe formato extra large. E per finire, camomilla e prima puntata di downtown Abbey. Notte tranquilla. Il vento è sceso e Metis è immobile.

Un vecchio brigantino messo male alla fonda a Faro

Lagos, Algarve di vento e sole

Fermi a Lagos per due notti.

Domani si rimette la prua verso sud. Ci fermeremo a Faro perché Guido deve scendere e tornare in Italia senza mettere piede in Spagna….ed evitare quindi di fare il tampone.

Oggi ho cercato di prendere possesso della barca. Organizzare la cambusa. Pulire e riempire il frigo. Sistemare i vestiti secondo un senso.

Ma sono riuscita anche a fare un bagno nell’oceano: freddo ma bellissimo.

In paese un negozio di ceramiche e giocattoli di legno ha attirato la mia attenzione. È gestito da una coppia di italiani di Rimini che in piena pandemia so è trasferita qui. Lei segue il negozio. Lui fa in pizzaiolo. Hanno anche un bambino di tre anni, bellissimo.

Sono tornata in barca con un pesce rosso (di ceramica) e 4 tazzone per la colazione.

p.s. ieri cena di pesce e verdure…la cucina portoghese è fantastica. Per la prima volta ho mangiato la cataplana.

Davanti a Lagos
Cataplana