Maiorca-Sardegna, due giorni e una notte difficile

Dicevano le previsioni che avremmo avuto mare e vento favorevoli. Che sarebbe stata un lunga notte di navigazione confortata dalla luna quasi piena. Che avremmo precorso le 240 miglia che separano Maiorca dalla Sardegna in due giorni e una notte di piacevole navigazione.

Cala Figueroa, Palma

Niente di tutto questo. Abbiamo lasciato Portopetro alle 6 della mattina confidando in poche ore di bonaccia. In effetti la bonaccia c’era, ma questo mare, propaggine meridionale del golfo del Leone, era ben formato. Onde alte di due metri e mezzo, tre metri, che ci sballottolavano senza pietà. Metis teneva a bene ma noi non proprio. Prima vittima, Giovanni. Ha cominciato a vomitare a poche miglia da Maiorca e non ha più smesso per due giorni.

Troppo poco vento per tenere il Genoa, poca randa e boma rizzato perché non si muovesse. Dopo trenta miglia in quelle condizioni, abbiamo cominciato a pensare di invertire la rotta. Tornare a Maiorca oppure tornare fino a Minorca, anche se nuvole nere in quella direzione non facevano ben sperare.

In quel modo, con quel mare, era impensabile proseguire. Il vento previsto non arrivava e il mare era troppo grosso. Abbiamo messo la prua verso Minorca. Ancora peggio. Il mare ci era contro. Impossibile risalirlo. Mentre esitavamo e cercavamo di capire quale sarebbe stata la scelta migliore, il vento si è alzato. 10 nodi di nord ovest, ma per cominciare sufficienti per proseguire verso la Sardegna. E’ stata una benedizione. Ci siamo sentiti confortati. E quel passerotto che ci volava a poppa, cinguettando e sbattendo le ali contro il vento, sembrava davvero un buon augurio.

Abbiamo proseguito così. Poi all’imbrunire il temporale si stava avvicinando davvero. E alla fine è arrivato. Tutta una notte di temporale con vento prima di stretto e poi finalmente a mezza nave. A un certo punto io sono andata in cabina a poppa. Massimo è rimasto in pozzetto. Attorno a noi il cielo illuminato di lampi e fulmini. Tuoni vicini e in lontananza. Vento a 25, 30 nodi, tre mani alla randa e trinchetta, pioggia e freddo. Mare sempre grosso e di traverso.

Massimo si è fatto 40 ore in pozzetto. Pipì in pozzetto. Troppo pericoloso sporgersi. Prima di scendere abbiamo condiviso una minestra liofilizzata giapponese…mi sarò lavata i denti mille volte per togliermi quel gusto.

Notte pazzesca

Dal tambuccio in cabina, io che non potevo comunque dormire, vedevo la notte illuminata a giorno. Sentivo la pioggia e ascoltavo attentamente i movimenti di massimo sopra la mia testa. Nonostante tutto, pronta a raggiungerlo, anche se non sarei stata di grande aiuto.

Ho avuto paura. Massimo si è stupito, ma per la prima volta nella mia vita di adulta, mi sono trovata a pregare. Ho pregato gli angeli. Gli amici che non ci sono più. Mamma, papà, suoceri e tutti quelli che chissà come avrebbero forse potuto aiutarci a proseguire indenni per la nostra strada. Non mi sono mai sentita in pericolo. Ero sicura che Metis e Massimo ce l’avrebbero fatta. Ma quella situazione era comunque difficile da sostenere per tutte quelle ore-

Ho meditato, per tranquillizzarmi. Mi sono raccontata storie. Ho pensato alle cavalle che galoppavano in campo e alla Vanda che faceva il bagno a Kavouri.
Ma la notte non finiva mai. Era sempre così buio. Un buio denso illuminato all’improvviso dalla tempesta. Metis era magnifica. Stabile, sicura, coraggiosa. Avrà sbattuto una vostra sola e nonostante fossi rannicchiata sul lato sottovento, stavo tutto sommato comoda.

Alle prime luci dell’alba, sono uscita in pozzetto. Massimo stravolto, ma sveglio. Sono rimasta lì a controllare la rotta e il mare attorno, mentre lui riposava.

Riposo dopo la lunga notte

Giovanni era fermo, seduto sottovento in cabina, in compagnia del secchio nero in cui regolarmente vomitava.

Quando finalmente ho visto la costa di Carloforte, saremmo stati a 30 miglia di distanza, ho pensato che presto saremmo stati fermi. Finalmente. Volevo una cosa sola: non sentire nulla ma proprio nulla che si muovesse sotto i miei piedi. Volevo stare seduta dritta e non essere sbattuta da una parte all’altra. Volevo poter leggere, andare in bagno, camminare per strada, scrivere e mille altre cose.

Sardegna, Portoscuso

Abbiamo raggiungo la Marina di Portoscuso, piccola, tranquilla e per nulla modaiola, con un intoppo: a un paio di miglia si è rotto il furling della trinchetta. Il mare e il vento continuavano a salire. Non finiva mai.

Ma alla fine, mentre in mare si preparava un altro temporalone, il giorno stava diventando notte, la stanchezza aumentava, ce l’abbiamo fatta e con la bandiera spagnola ancora issata, siamo entrati in porto.

Tramonto a Portoscuso

Alle 9 di sera stavamo cenando, in dinette perché aveva già cominciato a piovere: pasta riscaldata, insalata fresca, tortino di patate. Anche Giovanni, una volta fermati, è resuscitato! Domani sera torniamo tutti a casa: Massimo ed io a Kavouri, Giovanni a Portogruaro. Speriamo solo che i controlli Covid non ci blocchino qui.